Con la Convenzione delle Nazioni Unite approvata dall’Assemblea generale del 2 dicembre 1949, si è voluto porre l’accento su una questione davvero scottante, visto che il concetto di schiavitù, sia pure sotto altre forme, è ancora presente nella società contemporanea.
Ogni giorno, infatti, diamo risposte ai nostri bisogni, senza mai riflettere sul motivo per il quale un prodotto costa meno degli altri e se quel determinato manufatto è il frutto di mani rispettate o schiavizzate.
Qualche anno fa sul Corriere della Sera lessi un articolo dal titolo “Io ho ben 66 schiavi che lavorano per me” in cui si metteva in evidenza che la schiavitù è ovunque e che ogni oggetto della nostra quotidianità viene realizzato sfruttando in maniera disumana e illegale manodopera a basso costo.
Far luce sulle pratiche “schiaviste” messe in atto in ambito lavorativo è importante, per far sì che i consumatori diventino più consapevoli su una piaga sociale che coinvolge e affligge circa 27 milioni di persone, molte delle quali bambini.
Nonostante, quindi, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 la schiavitù sia stata proibita, esistono ancora forme contemporanee di sfruttamento che coinvolgono molte persone, senza distinzione di età, di sesso e di etnia.
Si tratta di un fenomeno drammatico del quale è bene che i consumatori si ricordino nel momento in cui si vanno a fare shopping, allo scopo di debellare attraverso acquisti consapevoli la schiavitù laddove le politiche governative hanno fallito.