1 Marzo 2025

Alzheimer, raro gene scoperto dagli scienziati italiani

Una scoperta tutta made in Italy: dopo circa 8 anni di studio sui componenti di una famiglia, e grazie alle ultime più moderne tecniche genetiche, un gruppo di neuroscienziati italiani ha scoperto un nuovo gene coinvolto nella malattia di Alzheimer. Scoperta che apre prospettive sia sui meccanismi della malattia sia sui target terapeutici.  

L’Alzheimer è la principale causa di gravi deficit cognitivi ed è divenuta uno dei maggiori problemi sanitari a livello mondiale. Un over 50 su cinque convive con l’Alzheimer, per un totale in Italia di circa 600 mila persone, e solo 2 pazienti su 10 ricevono diagnosi precoce. Una malattia che ricade anche sui bambini e gli studenti che devono imparare a fare conti con nonni che amano ma con i quali diventa sempre più difficile relazionarsi. Per aiutarli, la Fondazione Alzheimer di Milano sin dal 2012 ha realizzato una app volta a guidare i caregivers ed i nipoti nella delicata relazione con i nonni ammalati.

Secondo gli scienziati, ad essere coinvolto nell’insorgenza della malattia è un recettore del glutammato, un neurotrasmettitore aminoacidico interessato in funzioni cognitive quali apprendimento e memoria. A trovare questa rara mutazione è stato il team coordinato dall’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino e dall’Università di Torino, a cui hanno collaborato anche le Università di Pavia e di Milano.   

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Alzheimer’s Research & Therapy, “suggerisce il ruolo di rare mutazioni genetiche anche come causa della malattia in età senile”, spiega il professor Innocenzo Rainero che dirige il Centro Alzheimer e demenze correlate dell’ospedale Molinette e dell’Università di Torino.    In particolare, il gruppo scientifico, coordinato dalla dottoressa Elisa Rubino, ricercatrice presso il Centro per la Malattia di Alzheimer delle Molinette, ha studiato per diversi anni una famiglia con malattia di Alzheimer ad esordio senile, arrivando a capire che era causata da mutazioni nel gene Grin2C, gene che codifica per una subunità del recettore Nmda del glutammato, recettore importante nei processi della memoria sia breve che a lungo termine.

Gli scienziati ganno dimostrato gli effetti che questa mutazione provoca in modelli cellulari incrementando l’eccitabilità neuronale ed alterando il legame di questa proteina con altre proteine neuronali.    “Ad oggi erano note rare mutazioni nei geni Psen1, Psen2 e App, quali causa di malattia di Alzheimer, principalmente in età presenile”, commenta Rainero, che aveva contribuito già nel 1995 all’identificazione di Psen1. “Ci aspettiamo che Grin2C sia una causa molto rara di malattia di Alzheimer”, spiega Rubino, sottolineando che “tuttavia, l’aspetto più significativo della ricerca è la conferma del ruolo che i meccanismi di eccitotossicità correlata al glutammato possono avere nello sviluppo della malattia. Quando il glutammato interagisce con il recettore Nmda sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni calcio. Se questa stimolazione è eccessiva, si provoca un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare”.

Dal punto di vista clinico, è particolarmente interessante rilevare come, prima dello sviluppo del deficit cognitivo, i pazienti portatori della mutazione abbiano sviluppato per anni un disturbo dell’umore di tipo depressivo, dicono i ricercatori. Il nuovo studio, evidenziano, “necessiterà lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di ridurre l’eccitotossicità cerebrale da glutammato per rallentare la progressione di questa drammatica malattia”.     

La ricerca si è avvalsa della collaborazione di Elisa Giorgio del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia, Alfredo Brusco del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e Fabrizio Gardoni del Dipartimento di Farmacologia e Scienze Biomolecolari dell’Università di Milano.    

Cosa sappiamo oggi dell’Alzheimer? La ricerca scientifica ha dimostrato che la malattia è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e numerosi fattori ambientali, quali ipertensione, obesità, diabete, depressione ed isolamento sociale che favoriscono la deposizione nel cervello di due proteine tossiche, la beta amiloide e la proteina tau, responsabili della neurodegenerazione. 

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