Sembra impossibile, ma è vero: di fronte ad una tragedia, invece di intervenire, di chiedere aiuto, di chiamare la polizia, si riprendono le scene con il cellulare.
- Ma cosa sta succedendo nelle menti degli esseri umani?
- Quale relazione gli individui instaurano con il dolore dell’Altro?
- Quanto è importante il protagonismo?
- Qual è il limite tra razionalità e irrazionalità nell’uomo contemporaneo?
A queste domande tante altre potrebbero aggiungersi, perché il fenomeno, oltre ad essere grave, sta assumendo dimensioni davvero sconcertanti.
La psicologia ha già teorizzato su quello che ha definito “effetto spettatore” o “effetto bystander” consistente nella difficoltà di offrire aiuto, nel momento in cui si fa parte di un gruppo (maggiore è il numero dei presenti e minore è il senso di responsabilità avvertito dai singoli, dal momento che attendono che siano gli altri a fare la prima mossa).
Lo studio psicologico “effetto spettatore” nacque da un caso di cronaca nera avvenuto a New York nel 1964 “l’assassinio di Katty Genovese”.
Nel caso del non intervento accompagnato da una ripresa, però, gli scenari diventano davvero preoccupanti, perché si inseriscono in una logica perversa che porta gli uomini a trasformarsi in “reporter dell’orrore”, sempre alla ricerca della foto e della scena shock da postare sui social, pur di acquisire visibilità.
E’ necessario che la psicologia approfondisca questo aspetto gravissimo che porta l’individuo ad un totale e razionale distacco rispetto a ciò che accade, che lo porta ad un voler esser-ci, per poi dimostrarlo.