Che l’Italia non brilli per libertà di stampa è noto: secondo Reporters without borders nel 2024 siamo scivolati al 46esimo posto su un totale di 180, perdendo cinque posizioni rispetto al 2023. Ingenuamente forse, ho sempre pensato che la censura si riferisse agli articoli e che i blog fossero invece il regno della libertà di espressione, nei limiti di quanto consentito dalla legge, ovviamente. Per anni ho tenuto in assoluta libertà un blog di scuola sull’Huffington Post e quindi, quando qualche tempo fa mi è stato proposto un blog, gratuito, sul Fatto Quotidiano, ho pensato che forse poteva essere carino accettare.
E’ una contraddizione in termini che un blog possa essere censurato o che venga richiesta una modifica di taglio politico. Eppure è successo. Prima di accettare, mi ero sincerata degli spazi di libertà che avrei potuto avere e la risposta era stata rassicurante: tutto quello che la legge consente. Nei fatti, però, non è andata cosi. E’ importante dirlo per sollevare non una questione contro Il Fatto, dove lavorano fior fiore di professionisti, ma sul grado di libertà che oggi esiste in Italia. Anche perché il mio blog non andava contro la linea editoriale del Fatto: semplicemente raccontava il processo di internazionalizzazione degli ITS, operazione chiave non solo per il mondo della scuola ma per l’intero sistema Paese, avviato dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, ed in particolare degli accordi sottoscritti in Egitto due settimane fa.
Perché quindi non è stato pubblicato? La contestazione ricevuta si riferiva al fatto che avrei dovuto parlare anche del caso Regeni – fatto terribile ma che nulla c’entra con gli ITS – e del contesto politico (antidemocratico) dell’Egitto. In altre parole, avrei dovuto dare un taglio critico a qualcosa che per me invece è positivo: l’esportazione del modello italiano di scuola, il potenziamento degli ITS, la possibilità di non avere immigrati a spasso ma immigrati che lavorano in Italia, inseriti a pieno titolo per competenze realmente richieste dalle nostre aziende, in un contesto lavorativo e sociale. Cosa c’entra questo con il caso Regeni? Anche perché questa operazione, il Piano Mattei versante scuola, sta avvenendo in tanti Paesi del Nord Africa, non solo in Egitto e nessuno di loro propriamente democratico.
Il bello è che, prima di accettare, avevo specificato chiaramente che il mio giornalismo è costruttivo, non distruttivo, che avrei trattato di buone notizie e di buone pratiche. In questa fase storica dominata dall’aggressività e dalla violenza di tutti contro tutti, in cui molti per costruirsi un ruolo non trovano di meglio che gettare fango sugli altri, credo sia quantomeno necessario costruire ponti e non barriere, usare la comunicazione in modo costruttivo, come ha chiesto anche papa Francesco, rilevare e porre sotto gli occhi di tutti le azioni belle che purtroppo molti faticano a vedere proprio perché le notizie sembrano dover esser per forza brutte. Una good news non è una notizia. Chi lo ha deciso?
Non è questo il giornalismo in cui ho sempre creduto, che ho sempre sognato. Pensate al Ruggito del Coniglio, su Radio 2. Una trasmissione che unisce, che aiuta le persone a iniziare la giornata con un sorriso, al contrario di tante altre trasmissioni basate sullo scontro, sulla contrapposizione, sulla violenza. Perché oggi nel mondo della comunicazione non è pensabile un format diverso, volto a costruire, anche pedagogico, si potrebbe dire, alla scoperta di ciò che di bello esiste nel mondo ed anche nella politica? Perché l’azione politica del governo deve essere sempre vista in negativo e mai nella sua parte positiva, perché esiste solo il bicchiere mezzo vuoto sulla stampa e mai quello mezzo pieno? Cosa c’entrano gli ITS e il ruolo internazionale che l’Egitto sta avendo, in particolar modo su Gaza, con la questione di Regeni? Perché non posso scrivere che è una bella cosa che il ministro vada nei Paesi del Nord Africa per promuovere la scuola italiana e dare un contributo fattivo ai problemi dell’emigrazione?
Il 3 maggio sarà la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, istituita dalle Nazioni Unite, e tutti sbandiereranno l’articolo 21 della nostra Costituzione, il 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, la Convenzione Europea eccetera. Non credo che ci andrò. Che senso ha, se neanche nei blog si può esprimere più la propria opinione senza attaccare qualcuno?
E’ fondamentale per la democrazia che il giornalismo di inchiesta mantenga il proprio ruolo di Watchdog ma è anche vero che i blog possono essere i luoghi in cui la comunicazione espliciti la propria potenzialità di costruzione di un mondo più bello. Cosa sono i blog oggi, quindi? Luogo di narcisismo personale o spazio in cui si può uscire dall’ottica del pregiudizio e del giudizio negativo a priori per entrare nella comprensione di ciò che di bello c’è nel mondo, nella condivisione delle buone pratiche? Possono essere il luogo in cui regnano anche le good news?
Mi dispiace molto per quel che è accaduto perché al Fatto hanno lavorato miei ex colleghi bravissimi, e ci lavorano ancora giornalisti seri. C’è stato un periodo in cui si riteneva che i blog, nati nel ’97 in America, potessero essere rivoluzionari, potessero avere una “vocazione di umanità” come ha sostenuto Giuseppe Granieri, uno dei maggiori esperti italiani di comunicazione e culture digitali, nel suo libro Generation blog (generazione blog). A me ora quel periodo sembra davvero molto lontano.
Credo che il mondo dell’informazione debba interrogarsi oggi su questo: i blog sono gratuiti, scritti da persone che non hanno rapporti economici con il giornale ma fino a che punto bisogna seguire una linea predefinita e autocensurarsi prima di essere censurati? Il tema che vorrei sollevare quindi non è contro Il Fatto Quotidiano – io posso sopravvivere benissimo senza avere un blog sul Fatto e anche il Fatto continuerà a stare benissimo senza il mio blog – ma sul grado di libertà che esiste oggi in Italia persino nei blog: per forza bisogna andare contro qualcosa o qualcuno per poter avere una opinione?