31 Gennaio 2025

Non sono poche le considerazioni di ordine clinico e scientifico a sostegno della decisione assunta dal ministro del MIM di vietare l’uso di cellulari e tablet durante le ore di lezione fino alla scuola secondario di primo grado. Numerose ricerche confortano questa decisione e dimostrano che l’uso eccessivo del cellulare riduce i livelli di concentrazione e attenzione, interferisce con l’apprendimento e la formazione armoniosa dell’intelligenza. Una recente indagine della fondazione Einaudi sottolinea che negli ultimi 10 anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti italiani sono aumentati del 357% e le disgrafie del 163%. Molti ricercatori mettono in relazione questo progressivo deterioramento delle facoltà mentali dei giovani con l’uso non corretto della rete. In linea con le più accreditate tesi di epigenetica secondo cui nel cervello ancora immaturo di un bambino le esperienze negative lasciano cicatrici indelebili. Inevitabile che ciò interferisca sul modo stesso di pensare. Il pensiero diventa superficiale, poco incline alla accuratezza e profondità cognitiva, precludendo la stessa capacità di comprensione del proprio ruolo nel mondo.

La Cyber dipendenza

L’uso dei social network ha senza dubbio grandi meriti. Per esempio mettono ciascuno, in qualunque angolo della terra si trovi, in relazione con il resto del mondo facilitando le comunicazioni interpersonali e la diffusione in tempo reale delle informazioni. Permettono di trovare lavoro, intraprendere nuove conoscenze, imparare lingue, approfondire i propri interessi. Se usati con intelligenza e buonsenso sono in grado di migliorare la vita in termini di tempo e praticità.

L’abuso, tuttavia, così frequente nei giovani e giovanissimi, esita facilmente in una specifica forma di dipendenza: la Cyber dipendenza. Come ogni dipendenza investe la vita di chi ne è colpito in maniera totalizzante. Il giovane viene completamente catturato dal bisogno irrefrenabile di navigare in rete (craving). Non riesce a farne a meno, è incapace di interromperne volontariamente l’utilizzo e il tempo dedicato al Web aumenta ogni giorno di più. Se questo bisogno compulsivo non viene soddisfatto compaiono disturbi tipici dell’astinenza: irritabilità, rabbia, pensieri ossessivi, perdita degli interessi fino a trascurare ogni altro livello della propria esistenza. Il termine anglosassone addiction, che deriva dal latino addictus (schiavo), descrive molto bene lo stato in cui versa chi, avendo sviluppato una qualche forma di dipendenza, ha perso la sua libertà essendo schiavo di un padrone intransigente che detta le sue regole.

Diventare quello che non sei

Una peculiarità del web è la totale mancanza di intermediari tra chi naviga e il suo interlocutore essendo quest’ultimo non tanto colui cui sono diretti i messaggi, quanto piuttosto la rete nella sua totalità. Internet offre un palcoscenico grande quanto il mondo dove si possono esprimere le proprie opinioni senza alcun filtro. Un sentimento illusorio di libertà che comporta alcuni aspetti disfunzionali rispetto all’uso del Web che possono essere presenti anche in assenza di Cyber dipendenza.

Essere o apparire

    Il nostro modo di comunicare si è formato migliaia e migliaia di anni orsono. Prima di sviluppare la parola si interagiva attraverso la comunicazione non verbale fatta di sguardi, ammiccamenti, posizioni del corpo, espressioni del viso che, ancora oggi, rappresentano circa il 70/% del complesso comunicativo. Tutta questa parte manca nei social. In alcuni la comunicazione non verbale è inesistente e si è costretti ad usare gli emoticon per esprimere le proprie emozioni. In altri la comunicazione è basata quasi esclusivamente sulla trasmissione di foto e immagini, il più spesso stereotipate e innaturali, messe in rete nella ricerca spasmodica della ammirazione altrui. In entrambi i casi si tratta di rappresentazioni di sé non autentiche e da qui alla falsificazione della comunicazione o della propria identità il passo è breve. Il web su cui, secondo una recente indagine, si trascorrono circa 37 ore a settimana (il 22% del nostro tempo libero), ci costringe ad apparire piuttosto che essere. L’esibizione di una immagine che sia gradita al maggior numero di persone diventa preponderante rispetto al bisogno di comunicare la propria autenticità. Si tratta di un esercizio non particolarmente virtuoso per il nostro benessere data l’importanza che si attribuisce, per raggiungere un buon equilibrio psichico, alla ricerca di sé stessi, della propria autenticità, che sono, in fin dei conti, i pilastri della nostra libertà.

    Valorizzazione mediatica del comportamento incivile e deviante

    Una situazione in qualche modo opposta alla precedente, ma solo in apparenza, è quella rappresentata dai così detti leoni da tastiera. Si tratta di individui che nei social privilegiano espressioni aggressive e violente. Ricorrono spesso a offese, insulti, minacce rivolte ad individui o gruppi (forze di polizia, donne, differenti etnie, e via dicendo). Naturalmente l’accostamento con il leone è ironico non essendo costoro affatto coraggiosi: si nascondono dietro l’anonimato o a falsi nomi in quanto nella vita reale non sarebbero capaci di affrontare alcun contraddittorio. Ancora una volta il Web scatena in qualcuno le dimensioni più deleterie della sua personalità, non certamente tra le più autentiche. La grossolanità delle espressioni verbali, la grettezza di pensieri egoistici, la magnificazione di istinti asociali, aggressivi e pregiudiziali, l’esplosione di emozioni e passioni, i volontari errori grammaticali e linguistici, sono fatti per attirare attenzione e consenso sui media. Apparire, sia pur negli aspetti più deteriori di sé, resta anche in questo caso una forte motivazione all’uso di internet.

    Le falsificazioni identitarie

    La condivisione totalizzante con la rete dei propri pensieri, dei propri umori, scelte esistenziali può essere associata ad una sorta di mediatizzazione della mente. Il bisogno di una buona visibilità, soprattutto in presenza di personalità dipendenti con carenti capacità autonome di identificazione, arriva a creare una identità illusoria, fasulla, fantasticata. La falsificazione dell’identità e la sua sostituzione con una identità artefatta ha spesso un significato consolatorio e rappresenta un rifugio illusorio per personalità fragili e insicure. Le parti più autentiche e vitali della personalità possono facilmente deteriorarsi e restare nascoste ostacolando una equilibrata realizzazione personale. Nei casi più gravi, soprattutto in presenza di dipendenza da internet, è possibile assistere a fenomeni di depersonalizzazione e/o derealizzazione. La prima è la perdita del senso di identità, la seconda indica un grave scollamento dalla realtà.

    Si può affermare che un uso non intelligente di internet e dei social media rappresenta un fattore di danno che incide negativamente soprattutto sul cervello. Modifica in senso peggiorativo il modo di pensare perché valorizza la velocità del pensiero a scapito della profondità facendoci diventare più superficiali e poco inclini alla meditazione, mette il cervello al servizio della rete piuttosto che della intelligenza speculativa, rappresenta un fattore di rischio di danno cerebrale sia sul piano morfologico che funzionale, crea una forma di dipendenza del tutto simile, nella sintomatologia e nella sua evoluzione drammatica, ad ogni altra forma di dipendenza.

    L’iniziativa del ministro trova conforto, quindi, non solo in ragioni di ordine pedagogico, ma anche di salute pubblica e si inserisce nell’ottica di facilitare, nei giovani, scelte di vita più salutari e creative a vantaggio di un migliore futuro per tutti.

    Noemi Sanna

    Psichiatra clinico e forense

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