Secondo UNICEF il bullismo può essere definito come un comportamento intenzionale e aggressivo che si verifica ripetutamente contro una o più vittime con le quali vi è un reale o percepito squilibrio di potere. Si tratta di una forma di devianza propria dell’età giovanile (7/16 anni) che può configurare anche alcune fattispecie di reato e che si manifesta prevalentemente in ambiente scolastico. Comprende una vasta gamma di comportamenti prevaricatori finalizzati a fare del male alla vittima: dalla violenza in tutte le sue forme fino alla diffusione di voci malevole con qualunque mezzo di comunicazione, compreso il Web. I comportamenti ostili sono caratterizzati da:
- Intenzionalità in quanto mossi dalla volontà di arrecare danno. Il bullo trae gratificazione nel vessare la vittima e le prevaricazioni accrescono la sua popolarità.
- Sistematicità in quanto reiterati nel tempo con tendenza ad aumentare di intensità.
- Asimmetria della relazione in quanto rivolti a chi è più debole o non è in grado di difendersi. Il bullo ha molto più potere della vittima in termini di età, possenza fisica, genere, aspetto fisico, estrazione sociale e la vittima è scelta proprio per la sua presunta vulnerabilità e passività.
A ciò si deve aggiungere la pressoché totale mancanza di sostegno alla vittima anche in ragione di una diffusa omertà, non necessariamente malevola, che si organizza intorno al fenomeno. La stessa vittima non è portata a denunciare le prevaricazioni un po’ per timore di rappresaglie ulteriori, ma anche per una forma di pudore non volendo mostrarsi pubblicamente nella sua fragilità. Si sente disperatamente sola, abbandonata e impotente e finisce per subire un grave danno che, nel tempo, darà luogo a numerose disfunzioni sia sul piano psicopatologico che comportamentale.
È importante non confondere il bullismo con le normali situazioni di conflitto tra coetanei. Queste si risolvono facilmente a seguito di chiarimenti, accordi, negoziazioni, che permettono soluzioni di pareggio tra le parti. Il bullismo, al contrario, richiede interventi articolati di coordinamento tra genitori, insegnanti e psicoterapeuti non disgiunti, in ragione della valenza disadattativa del fenomeno, da una precisa volontà politica di chi ci governa.
Un fenomeno corale
Oltre il bullo e la vittima altri protagonisti contribuiscono al perdurare ed acuirsi del fenomeno. Prima di tutto i gregari, compagni che lo sostengono nelle sue prevaricazioni in maniera più o meno diretta e si mettono al suo servizio eseguendone gli ordini. Ma esistono altri protagonisti, talvolta inconsapevoli di esserlo, che contribuiscono a mantenere vivo il fenomeno: molti tra compagni e docenti che, pur sospettandolo o essendone a conoscenza e disapprovando le azioni del bullo, non prendono provvedimenti per contrastarlo. L’appoggio dei gregari sostenitori accresce l’autostima del bullo e lo fa sentire indiscusso protagonista, proprio il ruolo che gli è più congeniale. Ma è l’insieme di tanti altri spettatori, anche di chi resta neutrale, che lo incoraggia e lo fa sentire moralmente sostenuto e lo esorta a continuare nella sua azione aggressiva. Non diversamente dal pugile che tira pugni sull’avversario tra le incitazioni del pubblico. Senza un palcoscenico dove esibirsi il bullismo non avrebbe alcuna ragione di esistere.
Tanti protagonisti e molto silenzio
La quantificazione del fenomeno non è semplice e varia a seconda della fonte. Sembrerebbe che nel mondo 1 studente su 3 tra i 13 e 15 anni abbia vissuto esperienze di sopraffazione da parte dei compagni. I dati obbiettivi sono, tuttavia, falsati da un elevato numero oscuro. Esiste una realtà sommersa che sfugge al controllo degli adulti. A ciò si aggiunge quanto rilevato da molte ricerche che hanno messo in evidenza tra i docenti una percezione del fenomeno più bassa rispetto quella che hanno gli studenti, soprattutto in presenza di Cyber bullismo. Gli adulti per lo più ignorano o sottovalutano il lato oscuro del Web e troppo spesso lasciano i loro ragazzi soli a navigare in rete.
I motivi per cui, pur sospettando l’esistenza di episodi di bullismo o essendone addirittura a conoscenza molte persone non lo denunciano, sono numerosi e riguardano le più vaste sfere di influenza del comportamento umano. Talvolta, semplicemente, non si è in grado di decodificare i segnali che, soprattutto la vittima, invia in continuazione. Oppure non si è a conoscenza delle procedure alla base della denuncia. Altre volte si minimizza il fenomeno confondendolo con un normale conflitto che troverà facile soluzione e ci si illude che fare finta di niente possa magicamente annullarlo. Talvolta, più egoisticamente, si è mossi dal desiderio di non essere coinvolti in prima persona nella vicenda o da una qualche forma di disimpegno morale. Qualunque sia la ragione il risultato è un atteggiamento di indifferente neutralità che accresce il danno alla vittima sempre più sola, indifesa e senza speranza.
Il silenzio di chi vuole restare neutrale
Il silenzio di chi è neutrale ha, spesso, lo stesso effetto di un tacito assenso. Non schierarsi è già un modo di prendere posizione. Studiosi del comportamento umano e neuroscienziati suggeriscono che la neutralità spesso è una mera illusione. Una scena di violenza su una vittima indifesa non lascia nessuno indifferente. È la nostra natura umana che ci fa istintivamente partecipi dell’una o dell’altra parte. Il bimbo che assiste ad un litigio tra i genitori viene trascinato dentro quella violenza e la vive in prima persona come se ne fosse protagonista. Gli psicanalisti spiegano questo fenomeno richiamandosi a meccanismi psicologici che il nostro inconscio utilizza nella vita quotidiana influenzandola. Uno di questi è l’identificazione all’aggressore che ci permette di tenere sotto controllo l’angoscia e la paura che ogni forma di violenza incute. Divenendo simbolicamente come l’aggressore si ha l’illusione di averne il controllo e la minaccia di diventare l’oggetto della sua violenza viene allontanata. Anche l’identificazione alla vittima ha una sua utilità nell’equilibrio psichico, favorendo la negazione e la censura dei propri istinti violenti e permettendo di mostrarsi compiacente verso il più forte e minaccioso. I neuro scienziati, dal canto loro, spiegano lo stesso fenomeno tirando in ballo i neuroni specchio, ossia quelle cellule del sistema nervoso che ci permettono di fare e di sentire quello che fanno o sentono le persone che stiamo guardando. Queste particolari cellule non solo spiegano fenomeni come l’emulazione o l’empatia, ma ci fanno anche capire perché gli altri agiscono in un determinato modo e se hanno bisogno del nostro aiuto.
Se non si vuole dare retta alla propria coscienza si ascolti almeno la scienza quando afferma, autorevolmente, che l’indifferenza di fronte allo strapotere del più forte sul più debole non è contemplata in natura. Girare la testa dall’altra parte non esime nessuno dal divenire complice, anche involontario, di fenomeni dalla vasta portata sociale come il bullismo che serba ai bulli un futuro di adulti devianti, se non francamente criminali, e trasforma le vittime in soggetti depressi che rischiano di restare incastrati per tutta la vita in questo ruolo alienando la più autentica realizzazione di sé.
Noemi Sanna
Psichiatra clinico e forense