Esisteva, nei miei anni di scuola media, un’ora alla settimana di “Educazione all’ascolto”, il cui voto rientrava nella valutazione di italiano. Se qualcuno dovesse dubitarne, può andare a vedere gli archivi della Scuola Media Statale di Sannazzaro de’Burgondi, in provincia di Pavia. La professoressa si chiamava Caterina Castro. Era severissima. Gli ottimi della quinta elementare diventarono subito 4 nel settembre della prima media. Poi, seguendola, abbiamo tutti risalito la china. Una volta alla settimana, alle ore 15,15, prendeva il registratore e inseriva dentro una cassetta – oggi sembra preistoria – noi ascoltavamo l’audio, in silenzio, e poi rispondevamo a domande di comprensione del testo. Un po’come si fa durante gli esami di lingua straniera per le varie certificazioni. Forse ci sarebbe bisogno di riprendere quell’abitudine nelle scuole, dato che l’italiano sembra sia diventato una lingua straniera. E’ questo il vero punto della polemica esplosa in seguito al discorso del ministro Valditara a proposito della violenza sulle donne, accusato di aver detto parole mai pronunciate.
Il problema di quel che è accaduto non è certo di Valditara ma di tutto il mondo della comunicazione. La ripetizione è un fenomeno linguistico che rende il messaggio memorabile. E per questo è diventata una strategia politica. Ovviamente scorretta. Già nel 1977 Hasher, Goldstein e Toppino rilevarono come la ripetizione di un’informazione ne aumenti la credibilità. È l’effetto definito “l’illusione della verità”, dimostrato nel ’92 con l’esperimento di Begg, allora professore della McMaster University in Ontario: i partecipanti dovevano valutare l’attendibilità di alcune frasi loro proposte. Alcune furono ripetute almeno due volte, altre una sola. Risultato? Quelle più ripetute erano considerate più attendibili (Begg, I. M.; Anas, A. & Farinacci, S. (1992) Dissociation of processes in belief: Source recollection, statement familiarity and the llusion of truth. Journal of Experimental Psychology; 121(4): 446-458).
Ecco quindi come tante persone (la maggior parte) che non hanno mai ascoltato il video del Ministro – anche perché è lungo e tutti noi ormai abbiamo la capacità di attenzione di un criceto – hanno potuto commentare a valanga frasi mai dette, sulla base di ripetizioni riportate da altri, ovviamente distorte.
Ed è cosi che mi è venuta voglia di fare uno di quegli esercizi di terza media che la mia professoressa tanto amava: l’analisi del testo. Ho sbobinato, parola per parola, il discorso pronunciato dal Ministro. E’un esercizio che si faceva un tempo anche nei corsi di sociolinguistica, all’università. Vediamolo insieme passo passo. Ovviamente, mi riservo di affiancare una guida all’ascolto, se qualcuno mai dovesse avere la voglia di leggere un testo più lungo di venti righe. Il videomessaggio inizia cosi:
“Quando una donna viene offesa o addirittura uccisa, è la stessa civiltà a essere offesa e la stessa civiltà a venire negata”. Mi chiedo: esiste una donna che possa non sentire conforto in una frase del genere? In altre parole, significa: se sei stata offesa non è solo un peso tuo, è un peso che tutta la società deve condividere con te perché l’offesa fatta a te, donna, è l’offesa fatta all’intera civiltà. Cosa c’è di più bello che far sentire una donna meno sola in una occasione del genere, riportando il suo dolore nella responsabilità collettiva? Si perché l’aggressore, che sia marito, fidanzato, stalker è frutto della nostra società. La sua storia personale, i motivi della sua violenza, della sua probabile psichiatricità, sono da ricercare non solo nella sua famiglia di provenienza, nel suo carattere, ma anche nella società che lo ha partorito e allevato. Andiamo avanti.
Il fenomeno della violenza sulle donne si manifesta nel femminicidio, nella violenza sessuale, ma anche nella discriminazione.
Il ministro sottolinea, nella seconda frase, che la violenza non è solo fisica, ma è anche psicologica, morale. Non siamo forse tutti d’accordo? Non è forse quella più difficile da vedere, da leggere, da riconoscere, da combattere? La violenza fisica è visibile. Quella psicologica no, è lunghissima, lenta, può essere uno stiliccidio, ti si avvolge attorno senza che te ne accorgi ed all’inizio può anche sembrare una sciarpa che ti protegge dal freddo. Quando cominci a sentire la stretta, che ti manca l’ossigeno, pensi che forse è colpa tua, che forse tu stai sbagliando, che sei tu quella che non ha chiare le regole. Solo quando sei vicina a non respirare più, solo allora, te ne rendi conto. E, se sei fortunata, sopravvivi.
Consentire a una donna di sentirsi sicura, libera, non discriminata, di avere pari opportunità di realizzazione personale e professionale è un obiettivo fondamentale di chi crede nei valori della dignità di ogni persona.
Qua si apre il tema delle pari opportunità. Qualcosa da ridire? Non credo. Ed osservate l’ordine delle parole: sicura, libera, non discriminata. Sicura di se stessa, non seconda a nessuno. Sicura di camminare per le strade senza essere aggredita. Libera di vivere e vestirsi come vuole. Libera di andare dove vuole. Non discriminata per il suo aspetto, il suo colore, la sua religione, il suo orientamento sessuale. Come fare quindi perché le donne possano sentirsi cosi?
Abbiamo di fronte due strade: una concreta, ispirata ai valori costituzionali, e l’altra ideologica.
Il ministro individua due possibili strade da percorrere. E le spiega.
In genere, i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo.
Quanto è vera questa frase lo vediamo nelle cronache quotidiane e anche nelle reazioni che questo discorso ha suscitato. L’ideologia dei paraocchi che impedisce di guardare con obiettività realtà, fatti e persone. L’ideologia che cancella l’onestà intellettuale e il coraggio di dire “sono d’accordo” o “non sono d’accordo” indipendentemente da quello che altri – il capo del partito, della propria religione, del proprio gruppo – hanno deciso per noi. E’la libertà di pensiero in gioco, la capacità di avere spirito critico che superi le appartenenze ideologiche. Quindi, in che modo la visione ideologica affronta la questione della violenza sulle donne? Valditara è molto chiaro su questo, impossibile equivocare le sue parole, se si conosce la lingua italiana.
La visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Massimo Cacciari indubbiamente esagera quando dice che il patriarcato è morto 200 anni fa, ma certamente il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sull’eguaglianza.
Dal punto di vista giuridico, sottolinea il ministro, citando la riforma del diritto di famiglia, vale a dire la legge 19 maggio 1975, n. 151 con la quale il legislatore, rifacendosi al principio dell’uguaglianza giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.), ha modificato molte disposizioni del codice civile che erano in contrasto con la Costituzione. Non è forse vero che dal punto di vista giuridico il patriarcato è finito con la riforma del diritto di famiglia? E, soprattutto, se qualcuno dovesse non aver caapito la parola “giuridico”, le righe seguenti eliminano ogni possibile dubbio.
Piuttosto, ci sono ancora nel nostro Paese residui di maschilismo, diciamo pure di machismo, che vanno combattuti e che sono poi quelli che portano a considerare la donna come un oggetto, come una persona con minore dignità, che deve subire. Il maschilismo si manifesta in tanti modi: nella discriminazione sul posto di lavoro, nel cosiddetto catcalling, quando una donna subisce attenzioni non gradite per strada, si manifesta poi nella violenza vera e propria.
Non credo serva una guida all’ascolto per questa parte del discorso: Valditara dice chiaramente che maschilismo e machismo vanno combattuti e li declina nelle loro forme di attuazione contemporanee dato che spesso non vengono neanche identificate. Uno che ti fischia per strada non è solo un idiota, è anche un maschilista. Uno che ti ferma in un negozio per chiederti il numero di telefono è un maschilista. Uno che ti segue tanto che te lo ritrovi dappertutto è un macho che crede che tu possa essere il suo oggetto. Questo spesso non è chiaro neanche alle donne: il machismo è una esibizione di virilità basata sulla svalutazione della donna.
Poi c’è il tema del femminicidio, che allarma sempre di più. Se una volta il femminicidio era frutto di una concezione proprietaria della donna, in specie in famiglia, una concezione proprietaria della moglie, oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare i “no”.
Questo è un passaggio fondamentale: l’immaturità narcistica di non sapere accettare i no è una delle chiavi della violenza. Un tempo – ma ancora oggi in certe sacche di arretratezza del Paese – il tema era “la mia donna”. Il che significava “mia e di nessun altro”, con tutto ciò che ne discendeva per quel che veniva considerato l’onore del maschio. Oggi il punto è un altro: l’incapacità di accettare i no. E questa è di nuovo anche una responsabilità sociale: tra i milioni di narcisisti che abbiamo in circolazione nel Paese, quanti sono ex bambini viziati che non si sono mai sentiti dire no e non hanno mai dovuto faticare più di tanto? E’un passaggio cruciale che disegna l’evoluzione della violenza e la identifica per combatterla, anche a partire dalla scuola. Ed è per questo che il ministro continua dicendo:
La vera battaglia è dunque culturale e parte innanzitutto dalla scuola, ma non coinvolge solo la scuola. Coinvolge la famiglia, dove occorre che le relazioni siano veramente paritarie, improntate al rispetto verso il ruolo e il lavoro della donna. Coinvolge la cultura di massa, coinvolge l’uso dei social e coinvolge la stessa pubblicità.
Standing ovation: la battaglia è culturale, basta dare alla scuola tutte le responsabilità che invece sono anche di altri. In primis, della famiglia, che è e resta la prima agenzia educativa. Basta genitori che difendono i propri pargoli adorati anche quando fanno i bulli, basta mamme che davanti ai docenti rimproverano i figli e poi a casa vengono bullizzate a loro volta. Ognuno deve prendersi le proprie responsabilità. E il metro tra le responsabilità non può che essere uno: l’educazione al rispetto. E ora veniamo al cosidetto “passaggio incriminato” nei media in questi giorni.
Poi ci sono dei rischi nuovi, come la diffusione di pratiche che offendono la dignità della donna. Da questo punto di vista deve essere chiaro a tutti coloro che vogliono vivere con noi la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso.
Di sicuro un messaggio chiaro per tutti i popoli: “la portata della nostra Costituzione non ammette discriminazioni basate sul sesso”. Non è forse nostro orgoglio nazionale la Carta Costituzionale scritta da una Commissione di 75 membri suddivisa in tre sottocommissioni presiedute da un democristiano (Umberto Tupini per “diritti e doveri dei cittadini”), un comunista (Umberto Terracini per “l’organizzazione costituzionale dello Stato”) e un socialista (Gustavo Ghidini per “rapporti economici e sociali”?
Occorre anche non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigazione illegale.
E’ il coraggio di dire le cose come stanno. Poteva risparmiarselo il Ministro questo passaggio, si obietterà. Certo, se lo avesse fatto non sarebbe stato attaccato ma avrebbe omesso una parte della realtà che lui, da uomo intellettualmente onesto, non vuole omettere. Infatti lo introduce dicendo “occorre anche non far finta di non vedere”. In lingua italiana, “incremento” vuol dire che il fenomeno già c’è ma che aumenta per alcune variabili che si aggiungono al nucleo centrale, in modo minore, ma si aggiungono. E quali sono? Le forme di marginalità e di devianza. Contestabile questo passaggio? Non direi. E aggiunge “in qualche modo discendenti”, nel senso: non c’è una diretta correlazione ma comunque c’è un rapporto tra l’immigrazione illegale, la marginalità e la devianza. Persone senza lavoro che devono comunque vivere e mangiare non vivono forse una situazione di marginalità sociale? Certo che si. E la marginalità sociale spesso non porta, anche solo per disperazione, alla devianza? La prostituzione, per esempio, non nasce nella costrizione che subiscono, a costo della loro stessa vita, ragazze giunte in Italia con la promessa di un lavoro e invece truffate da mercanti di persone senza scrupoli? Non è forse una condizione di marginalità? Valditara non ha mai detto che c’è un legame tra femminicidi e immigrazione clandestina. E ribadisce:
Non si può accettare una cultura della violenza, non si può accettare la cultura della violenza verbale e della violenza fisica. Non si può accettare la cultura dell’insulto e della minaccia, della prepotenza, della mancanza di rispetto verso ogni persona, che questa persona poi sia simpatica o antipatica, che sia povera o ricca, che sia autoctona o immigrata, che sia eterosessuale o omosessuale, che sia politicamente amica o politicamente avversaria.
Il riferimento chiaramente è al clima che si respira nel nostro Paese, all’indomani delle minacce di morte da lui ricevute, dal manichino bruciato in piazza, dalla violenza verbale che viene agìta verso di lui nonostante dimostri in ogni azione e parola cosa sia l’educazione civica. E la risposta è il rispetto verso tutti: immigrati, etero, omosex, amici e nemici politici. Cosa fare quindi?
Dobbiamo proteggere i deboli, dobbiamo proteggere i miti, , dobbiamo proteggere i buoni contro la prevaricazione dei violenti e dei prepotenti. È per questo che abbiamo deciso di puntare innanzitutto sull’educazione civica, il luogo più adatto. E così abbiamo pensato di inserire il contrasto alla violenza contro le donne nell’ambito dell’educazione al rispetto verso ogni persona perché è proprio questo il punto. Chi non riconosce che dal rispetto e nel rispetto di ogni persona, qualunque essa sia, che si combatte anche la violenza contro le donne non ha capito che sono questi sono i fondamentali di una società civile, di una società armonica, di una società senza discrimininazioni e senza violenza.
L’educazione al rispetto come antidoto alla cultura della violenza. E anche se la scuola non può farsi carico di tutto, è dalla scuola che il ministro fa partire la strada che porta all’educazione al rispetto verso ogni persona, e quindi anche verso le donne: attraverso il luogo più adatto, vale a dire l’educazione civica. Come si fa a non trovare bellezza e giustizia in questa via? E, ovviamente, un passaggio sull’educazione civica, dato che che polemiche sono fioccate anche lì, sempre perché si commenta senza conoscere.
Qualcuno dice che l’educazione civica consta di soltanto di 33 ore e sbaglia. Queste 33 ore sono dedicate alle educazioni: all’educazione finanziaria, all’edicazione stradale, ambientale, alimentare, invece le linee guida sull’educazione civica pongono come obiettivi di apprendimento, come competenze che devono essere acquisite, proprio il rispetto, la cultura del rispetto verso qualunque essere umano e, in particolare, verso la donna. obiettivi di apprendimento.
E legge testualmente le nuove linee guida dato che, come al solito, tutti ne parlano ma quanti le hanno lette?
Vi leggo dunque che cosa dicono letteralmente queste linee guida. Questi obiettivi di apprendimento devono innervare tutti i curricola, devono caratterizzare tutti i programmi scolastici, cioè devono essere degli obiettivi che tutti gli studenti nel loro percorso scolastico dovranno perseguire e raggiungere. «Comprendere e conoscere il principio di uguaglianza nel godimento dei diritti inviolabili e nell’adempimento dei doveri inderogabili, nel quale rientrano il principio di pari opportunità e non discriminazione, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione. Particolare attenzione andrà riservata al contrasto alla violenza contro le donne, per educare a relazioni corrette e rispettose, al fine altresì di promuovere la parità fra uomo e donna e di far conoscere l’importanza della conciliazione fra vita e lavoro, dell’occupabilità e dell’imprenditorialità femminile».
«Analizzare – scrivono ancora le linee guida – mediante opportuni strumenti critici desunti dalle discipline di studio, i livelli di uguaglianza fra uomo e donna nel nostro Paese e nella nostra cultura, confrontandoli con le norme nazionali e internazionali. Individuare e illustrare i diritti fondamentali delle donne. Analizzare il proprio ambiente di vita e stabilire una connessione con gli attori che operano per porre fine alla discriminazione e alla violenza contro le donne. Sviluppare la cultura del rispetto verso ogni persona, contrastare ogni forma di violenza, bullismo e discriminazione verso qualsiasi essere umano e favorire il superamento di ogni pregiudizio».
Chi, nel possesso delle proprie facoltà mentali e con un’ottica di onestà intellettuale, potrebbe mai contestare queste righe? E il dato di fatto è che tutto questo prima non c’era: è scritto nelle nuove linee guida Valditara. E lui giustamente ne chiede l’applicazione in tutte le scuole, per tutti i ragazzi:
Tutto questo non c’era in passato, tutto questo, come ho detto, deve innervare i curricula e tutti i programmi scolastici. In questo contesto le scuole ben possono sviluppare discussioni che rendano protagonisti gli studenti, nelle forme della testimonianza, dello scambio di esperienze così anche nelle forme del cosiddetto peer tutoring. Dovremmo poi verificare gli esiti di questi insegnamenti, di questa acquisizione di competenze.
Innervare: la parola non è certo casuale. E poi bisogna verificare gli esiti: non solo farlo perché è scritto nelle linee guida, il ministro chiede la verifica, la prova dei fatti, la valutazione dell’effetto concreto di questo insegnamento perché:
Obiettivo è la dignità, il rispetto e la parità di trattamento, per sradicare la violenza dalla nostra società e, in particolare, per sradicare la violenza contro le donne.
Direbbe la mia professoressa di terza media: ragazzi, a parole vostre, cosa pensate di questo testo?
Anna Maria De Luca