La società in cui viviamo pone l’individuo di fronte a situazioni sempre più complesse e difficili da gestire. Se solo si pensa ad un passato recente (30-40 anni), si possono notare cambiamenti nella vita familiare, privata, sociale e lavorativa che hanno portato ad un nuovo modo di interpretare e gestire la quotidianità. Tutto questo in molti casi diventa fonte di stress, di ansia, di inadeguatezza e di disistima.
Il modello familiare composto dalla madre, che si occupa dell’educazione dei figli e dal padre, che provvede attraverso il lavoro a procurare i mezzi per il sostentamento, ha ceduto il posto ad un nuovo modello dove entrambi i genitori lavorano, sia per far fronte all’elevato costo della vita, sia per la giusta emancipazione della donna da schemi sociali rigidi che la “obbligavano” a seguire determinati percorsi di vita piuttosto che altri.
La netta divisione tra ruolo strumentale svolto dal padre – riguardante i rapporti tra famiglia e mondo esterno – e ruolo espressivo svolto dalla madre – relativo ai rapporti all’interno della famiglia – oggi risulta completamente superata.
Il Ministro Valditara in una recente intervista ha detto che il patriarcato è stato giuridicamente superato con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha sostituito alla famiglia basata sulla gerarchia, la famiglia basata sull’uguaglianza e che la figura del padre, come purtroppo anche quella della madre, oggi è molto sbiadita. Il problema, quindi, non sta tanto nell’attaccare, “uccidere” la figura del padre, quanto nella mancanza di genitori più autorevoli, di cui i giovani di oggi hanno bisogno – i genitori devono aiutare i figli a costruire il proprio progetto di vita -.
Il modo di essere dei giovani, la modalità di interazione, le aspettative, il modo di pensare sono spesso influenzati dalle esperienze che avvengono a livello familiare. In questi ultimi anni si è passati da un modello educativo familiare di tipo autoritario ad un modello educativo di tipo permissivo incline a garantire l’esclusiva libertà del soggetto educando.
Nella famiglia – campo psichico e affettivo – devono essere presenti, invece, due modalità educative: una orientata all’accoglimento del bisogno/desiderio, alla protezione, alla dipendenza e l’altra tendente all’autonomia, alla individuazione di sé, alla capacità decisionale autonoma, al sentimento etico, alla consapevolezza di contare sulle proprie energie, all’assunzione di responsabilità, etc.
Le modalità educative rientranti nel secondo gruppo nell’ultimo ventennio hanno quasi ceduto il posto alle modalità educative del primo gruppo condizionando fortemente il giovane nelle sue scelte future e portando a quello che Crepet definisce “figliarcato”.
Gli adulti ripetono spesso la frase “i giovani di oggi non hanno più valori”. Ma se questo è vero, allora bisogna chiedersi di chi è la colpa: della società? Della famiglia? Della scuola? Trovare un capro espiatorio potrebbe rasserenare le coscienze di molti, ma il problema non è così semplice da risolvere. Ciò che si può dire, invece, è che la società contemporanea con i suoi ritmi frenetici sottovaluta l’importanza del tempo da dedicare all’educazione e che l’ambiente circostante offre modelli di vita intrisi di valori non sempre positivi.
Il tema “giovani” è stato ampliamente trattato da Umberto Galimberti nel libro “L’ospite inquietante, il nichilismo e i giovani”. Nell’introduzione si legge “Un libro sui giovani: perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella la prospettiva e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui”.
Basta con la violenza sulle donne, basta con i femminicidi, basta con le discriminazioni! Per la prima volta nella storia della scuola italiana il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha precisato che l’educazione al rispetto nei confronti della donna è un obiettivo di competenza e che è importante educare i giovani al “no” a sopportare i “no”.
Si tratta di una battaglia culturale che deve essere affrontata attraverso un’educazione formale di cui deve farsi carico la scuola, la famiglia e la società tutta.