31 Gennaio 2025

La pratica delle arti marziali e l’apprendimento emotivo

Di Paolo Perez, psicologo, e Alessandro Amadori, psicologo ed esperto MIM

Lo studio delle arti marziali può offrire numerosi benefici agli studenti delle scuole superiori, a livello sia fisico che mentale. Sul piano fisico, le arti marziali migliorano la forza, la flessibilità, l’equilibrio e la coordinazione. Inoltre, aiutano a sviluppare la resistenza cardiovascolare e muscolare. Sul piano psicologico, ne beneficiano in particolare la disciplina e l’autocontrollo. La pratica regolare richiede, infatti, concentrazione e autodisciplina, insegnando agli studenti a gestire le proprie emozioni e a mantenere la calma anche in situazioni “sotto pressione”. Inoltre, imparare nuove tecniche (e vedere i relativi progressi personali) può aumentare la fiducia in sé stessi e l’autostima degli studenti. In aggiunta, le arti marziali insegnano il rispetto per sé stessi e per gli altri, promuovendo valori come l’umiltà, la pazienza e la lealtà.

Ma quelle affascinanti discipline del corpo e della mente, che sono le arti marziali, interessano anche altri aspetti educativi, come l’apprendimento di concetti di altre culture, la promozione dello “stare insieme”, il fascino dell’orientalità. Inoltre, in base alla loro esperienza personale diretta, gli autori di questo articolo vogliono mettere in luce il fatto che le arti marziali permettono di coltivare, attraverso un’esperienza che è principalmente fisica, un vero e proprio “setting mentale”: quello di vivere senza avere paura (o, meglio, di vivere senza la “paura della paura”). Consentono quindi una forma molto interessante, e molto efficace, di apprendimento emotivo (un tema oggi di grande attualità per la scuola).

Una delle paure che la pratica in questione consente di ridurre fortemente è quella di sbagliare comunicazione. Infatti, un po’ tutti noi, adulti e ragazzi, siamo preda di una sorta di mito: quello dell’esistenza della comunicazione perfetta. Potremmo chiamarlo anche l’auto-inganno dell’assertività, consistente nel fatto di immaginarsi che sia sempre possibile, attraverso le giuste parole, riuscire a gestire qualunque conflitto, mostrare perfettamente all’altro il nostro punto di vista (e quindi portarlo dalla nostra parte, placando anche l’animo più agitato).

Adottare questa convinzione può portare a un fraintendimento: che si possieda sempre una totale responsabilità nella comunicazione e che quindi si possa sempre, in un modo o nell’altro, appunto influenzare positivamente la reazione dell’altro. Se quest’ultimo si offende o si arrabbia, ne saremo sempre in parte responsabili, e dunque si tratterà solo di capire il più a fondo possibile come fare meglio la prossima volta.

Quest’idea esclude un dato di realtà: ovvero, che per quanto impegno e cura possiamo mettere nell’esprimerci, talvolta vi sarà comunque una parte della situazione comunicativa che non avremo sotto il nostro controllo (né, quindi, sotto la nostra influenza diretta). Si tratta della parte che è responsabilità specifica dell’altro, e del suo modo di essere (che può essere molto diverso dal nostro).

Il rischio del mito di cui sopra è quello di chiudersi a poco a poco in una sorta di gabbia, costituita dalla paura di poter offendere l’altro, di essere inopportuni, di suscitare in lui o in lei una reazione aggressiva, attraverso quelle che sono semplicemente manifestazioni del nostro essere, ma che talvolta vengono accolte con intolleranza e prepotenza da altre persone.  Un tema, lo si intuisce subito, che ha molto a che fare con la dinamica fra vittima e persecutore che è tipica degli atti di bullismo.  Se entriamo in questo tipo di meccanismo, la ricerca della “giusta” comunicazione può veramente diventare una prigione. Così, finiamo per dire tutto fuorché le cose come le pensiamo veramente: evitiamo a tutti i costi di manifestare una spontaneità che non intende danneggiare nessuno, ma che purtroppo ha la colpa di essere, per qualcuno, fuori dal (suo) canone.

L’arte marziale, se correttamente insegnata e appresa, permette di fare una grande esperienza di libertà: ci fa apprendere che non vi è modo di evitare completamente il conflitto derivante da ciò che è fuori dal nostro controllo, e che non dobbiamo averne paura. E farci ingabbiare da noi stessi. Ci insegna a vedere il giusto grado di conflitto come un fatto naturale, che ci può capitare e che dobbiamo prepararci ad affrontare con serenità ma anche con fermezza. Ci insegna che, oltre un certo limite, dobbiamo dire “basta!”. Non per cercare uno scontro fisico (che, oltre a essere improbabile, è sempre dannoso), ma al contrario per evitarlo. Proprio rispondendo in maniera ferma e decisa, facendo anche leva su quelli che sono gli strumenti della nostra capacità argomentativa. Che però, alla base, deve avere una buona sicurezza in noi stessi.

L’arte marziale ci insegna a non mostrare tolleranza verso chi decide di abbandonarsi alle sue pulsioni aggressive e di comportarsi nei nostri confronti in un modo che supera il limite di ciò che consideriamo accettabile. Fa questo attraverso un percorso che ricorda, seppur con le giuste differenze, un buon lavoro psicologico sulla propria ansia e sulla propria rabbia, aiutandoci a modulare correttamente la nostra stessa aggressività. Agisce, usando una metafora, come una sorta di “psicoterapia corporea”.

Come ci ricorda Paolo Montalto, un maestro di Kung Fu tradizionale, l’antica e nobile arte marziale cinese, nello stile denominato Hung Gar è fondamentale lo studio di una forma chiamata Kon Ji Fo Fu Kune (“Riequilibrare l’energia per domare la tigre”), che esprime l’armonia tra lo Yin e lo Yang. La tigre rappresenta il nostro ego, l’energia primordiale da cui non riusciamo a fuggire ma che è anche necessaria per continuare il nostro cammino nella vita. Ecco perché, questa tigre, è “semplicemente” da domare e non da abbandonare. Una metafora che indica molto bene il profondo valore psicologico della corretta pratica delle arti marziali orientali.

Per saperne di più

DANIELE F., “Il potere segreto del corpo nelle arti marziali”, Luni Editrice, 2020.

GIANNANTONIO M., “Mi vado bene?”, Edizioni Erickson, 2009.

PIETRUCCI D., “Le arti marziali come psicoterapia”, Altromondo Editore, 2024.

TESSAROLO E., “Mental Aikido”, Il Punto d’Incontro Edizioni, 2014.

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